Arch. di Stato di Siena. Diplomatico. S.Agostino. 1179 Aprile 2

I ruderi dell’abbazia si raggiungono lasciando la ‘Strada Provinciale del Padule’ in località ‘Ponti di Badia’, per la via sterrata che attraversa il Canale Allacciante ed il fiume Bruna. L’esistenza, sulla riva nord occidentale del grande specchio di acqua salata che occupava gran parte della pianura grossetana il Lacus Prilius dei romani-, di un edificio religioso dedicato a S.Pancrazio e di un luogo chiamato Lutum ("fango"), è documentata assai prima di quella dell’abbazia di S.Pancrazio ad lutum, ovvero nell’814, da una carta di donazione dell’imperatore Ludovico il Pio al monastero di S.Antimo, situato in territorio chiusino. L’analisi del documento indica che dedicazione della chiesa d’età carolingia e denominazione del luogo, però, non si riferiscono direttamente all’abbazia benedettina ed al luogo dove ne sono visibili i resti. L’identità della dedicazione è probabilmente attestazione di continuità spirituale fra gli edifici sacri, piuttosto che materiale, ed il toponimo Lutum nel secolo IX indubbiamente si riferisce a luogo diverso, per quanto vicino, a quello dell’abbazia. L’attestazione più antica dell’"abbatia de luto", ovvero del monastero conosciuto nel medioevo come ‘S.Pancrazio al Fango’, costruito su un isolotto del lago chiamato nel medioevo Lago di Castiglioni, è contenuta in una lettera papale databile intorno alla metà del XII secolo, presumibilmente di Alessandro III. Il pontefice comunica ai vescovi di Grosseto, Massa Marittima, Siena e Sovana la propria decisione di donare al monastero di S.Antimo "Burianum, arcem de Campo Albo, abbatiam del Luto et quicquid iuris habemus in Castellione", potendo disporne poiché "ad beati Petri ius pertinentia". La donazione appare conseguente a ciò che è testimoniato esser avvenuto secoli prima nella zona del castiglionese: nel secolo VIII la Chiesa di Roma è attestata possedervi un esteso pa-

trimonio fondiario, e nel IX l’abbazia di S.Antimo vi entra in possesso di terre grazie alla ricordata donazione di Ludovico il Pio. La presenza del monastero chiusino è fortemente contrastata dalla consorteria dei Lambardi di Buriano, e probabilmente proprio ad essi è dovuta la fondazione dell’abbazia di S.Pancrazio. E’ significativo, in riferimento a questa ipotesi, come si concretizzi soltanto al suo rinnovo, nel 1181, una permuta fra gli abati di S.Bartolomeo di Sestinga e di S.Pancrazio che una bolla papale del 1179 approva come già avvenuta. La permuta, infatti, fondamentale per il trasferimento di S.Bartolomeo in prossimità del castello "de Vitulonnio", sortirà i propri effetti solo a seguito della carta rogata "in claustrum abbatie de Luto", che fra i testi ha numerosi personaggi da ascrivere ai Lambardi. L’ipotesi, dunque, che S.Pancrazio sia fondazione 4 della consorteria burianese, in terra usurpata al patrimonio della Chiesa di Roma, parrebbe confortata dall’evidente necessità del consenso dei suoi membri perché gli abati possano effettivamente disporre del patrimonio abbaziale, fatto questo è confermato dalla documentazione duecentesca e trecentesca: negli atti del monastero non manca mai la sottoscrizione di appartenenti alle famiglie di Lambardi. Questo nonostante che nell’area castiglionese si sviluppi una forte pressione pisana che, già nel 1191 , secondo quanto documenta un privilegio di Enrico VI, ha conseguito il risultato dell’appartenenza del castello dell'abbazia di San Pancrazio al contado del Comune di Pisa. Vicende politiche e crisi del sistema benedettino conducono l’abbazia ad uno stato di degrado tale, che nel 1285 papa Onorio IV ritiene doverla cedere al priore del vicino convento di S.Guglielmo di Malavalle, imponendogli l’obbligo di restaurarla. Ad opera dei pisani viene realizzata la cinta muraria attorno all’isolotto dell’abbazia, ove risiede un modesto numero di abitanti dediti soprattutto alla pesca. Incorporato nello stato di Piombino nel 1398, nel corso del XIV secolo il monastero si trova coinvolto nelle lotte dinastiche della famiglia Appiani, finchè nel secolo successivo, a seguito dell'occupazione dell'isola nel 1448 da parte delle truppe di Alfonso d'Aragona, protrattasi per sedici anni, il castello viene abbandonato dai suoi abitanti. Ciò determina l’inizio della serie degli affidamenti "a commenda" di S.Pancrazio, ovvero dell’adozione, anche in questo caso, del metodo adottato all’epoca per rimediare alla decadenza di istituzioni ecclesiastiche ed al degrado del loro patrimonio.
 

Dell'abbazia benedettina di S. Pancrazio al Fango non rimangono oggi che i ruderi della terminazione absidale appartenenti alla chiesa, in grossi conci squadrati di pietra arenaria ottimamente disposti. Le numerose strutture in laterizio testimoniano un uso dell'edificio fino all'età moderna. La maggior parte di esse sono da riferirsi alla trasformazione operata nella seconda metà del XVI.

Morto l'abate Pietro, alla metà del secolo XV il monastero è concesso al suo primo commendatario, Dominico episcopo Agrigentino, e poi da papa Pio II, nel 1458, a suo nipote Francesco Piccolomini, canonico senese. Questi soltanto nel 1473 vede risolta a suo favore una vertenza con Iacopo III Appiani, illecitamente appropriatosi del monastero. Nel 1480 la commenda passa al capitolo dei canonici di Siena, obbligati ad impedire un uso profano del monastero ed a farvi celebrare saltuariamente una messa. Dopo l’acquisto nel 1564 di Castiglione della Pescaia da parte del granduca Cosimo I e l’affitto de Lago di Castiglioni ottenuto da questi dagli Appiani, l’abbazia entra a far parte delle terre soggette all’amministrazione granducale grazie alla concessione della commenda a Bartolomeo Concini, segretario ed ambasciatore del granduca, che la trasferì all'ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. Su iniziativa granducale nell’isolotto dell’abbazia ormai divenuto una piccola penisola a causa dell’impaludamento del Lago- è realizzato un centro di pesca, dotato di strutture per la conservazione del pesce e la sua commercializzazione, tanto importante da veder sorgere un palazzo, un’ osteria con rimessa per cavalli ai piedi del rilievo sul quale si ergono i resti di S.Pancrazio.
Di parte di questi ruderi ci si avvale per la costruzione di una chiesetta dedicata a Santa Libertesca nella quale almeno fino a poco dopo la metà del XVIII secolo è celebrata la messa nelle domeniche d’inverno, l’unica stagione in cui i pescatori possono risiedere alla "badiola", per le pessime condizioni ambientali determinate dal degrado del Lago a grande palude. Dagli atti della terza visita pastorale di Monsignor Fabrizio Selvi, effettuata nel 1818, si apprende che anche la cappella di Santa Libertesca è ormai ridotta a rudere.

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