Il toponimo, come il 'Pingrosso' relativo ad un sito vicino, deriva dall'antica coltivazione del grande bosco di pino domestico realizzato sul tombolo grossetano in età medicea. La grande produzione di pinoli era commercializzata dallo Stato in regime di monopolio: verso la fine del secolo XVII i sudditi di Cosimo III «ai quali piacevano i pinocchi, dovevano contentarsi di prendere e gustare soltanto quelli granducali della "Pineta del Tombolo di Grosseto"» (G.CONTI, Firenze dai Medici ai Lorena, Firenze 1909, p.349). L'imponenza dei pini del tombolo, la notevole abbondanza dei loro frutti e la maggiore estensione della pineta nella pianura verso Grosseto - e dunque fino a 'Pingrossino'- è sottolineata nel 1832 dall'abate Pifferi nella lettera in cui riferisce della tappa fra Castiglione della Pescaia e Grosseto del suo Viaggio antiquario per la Via Aurelia da Livorno a Roma (Roma 1832, p.30). Riferisce l'abate: «Ad un quarto di miglio in distanza dal porto incomincia la così detta Pineta di Grosseto, che si estende per lungo tratto su la costa marittima, e sopra una parte di quella pianura. È formata questa da vecchi alberi di pino di varie grandezze, che producono un frutto abbondante nella propria stagione. Sembra verisimile che questa fosse in origine una selva piantata per la costruzione delle navi....».
 

Osservatorio Ximeniano di Firenze, "Collezione delle Piante, e Prospetti delle Fortificazioni situate lungo il Littorale Toscano che si conosce volgarmente sotto la denominazione di Littoral Grossetano per quanto si estende trà il Confine dei Regj Presidj di Napoli, e l'altro del Principato di Piombino". Di Pietro Conti.1793. Particolare del Tombolo di Grosseto, che allora si estendeva verso l'area in cui si trova 'Pingrossino', attraversata dalla "Strada della Trappola", che corre sul tracciato della consolare Aemilia Scauri , e dal 'Fosso Tanaro'

Il fatto che la zona di Pingrossino sia fra le prime terre emerse della pianura grossetana, e che sul tombolo transitasse la via consolare romana Aemilia Scauri, sono fattori che hanno determinato condizioni di interesse archeologico. «L'area del podere Pingrossino è interamente sottoposta a coltivazioni di tipo intensivo (vigneto, oliveto, frutteto, ortaggi) ed estensivo (cereali). Il suolo è in gran parte costituito da sabbia, che in alcuni punti è stata asportata per una profondità di circa 30 cm. Numerose ricognizioni, mai pubblicate in maniera scientificamente corretta, hanno prelevato materiale archeologico di cui non mi è stato possibile rintracciare l'ubicazione (alcuni reperti sono al Museo archeologico e d'arte della Maremma di Grosseto - devo questa segnalazione a O. Barbetti che ringrazio).
Notizie raccolte sul luogo e i pochi reperti ancora visibili sul terreno consentono di vedere in questa zona un grosso complesso di età romana dotato di edifici con muri in pietra legati con calce rinvenuti a circa 20/30 cm. dal piano attuale durante le sistemazioni degli anni '50 (notizie già date da PASQUALE 1972, p.32, ss.) ed almeno due tombe entro anfora sul luogo dell'attuale podere ed immediatamente ad est (almeno 10 secondo PASQUALE 1972, p.32, ss.). Verso nord invece dovevano essere altri edifici o annessi funzionali al corpo di fabbrica maggiore come fanno supporre materiali sparsi e in un caso un accumulo di pietre che non possono provenire dal paleosuolo. Allo stesso fenomeno credo si possano ascrivere cumuli di laterizi trovati durante scassi ed erroneamente attribuiti a tombe alla cappuccina, per una inspiegabile presunta automatica equivalenza laterizi-tombe che in assenza di ossa umane non può essere sostenuta. Essi servono molto più comunemente per muri e coperture di edifici. Fra i materiali spiccano fuseruole, anfore romane, ceramica d'impasto etrusca, ceramica comune acroma e verniciata romana. Delle monete citate sia da Pasquale che dagli abitanti del luogo non ho potuto visionare niente. In tutta l'area nord - est, cioè in direzione del fosso Tanaro e del fosso senza nome ad esso trasversale furono rinvenute un numero imprecisato di tombe (ma più di IO) del tipo a fossa rivestita di blocchi e lastre di pietra, senza copertura (forse perchè depredate in antico) assai tipiche nell' altomedioevo. Questa zona è detta localmente rialto e strada del Diavolo e pertanto si può concordare con Pasquale (1972, p. 16) quando afferma una correlazione all'analogo toponimo all'Ombrone e cioè alla presenza di una strada basolata romana che in questa zona del tombolo doveva essere munita di aggere (rialto)...» (C.CITTER '95, nota n.31).