Barbanella e Bettino Ricasoli
 
La tenuta di Barbanella fu acquistata dal barone Bettino Ricasoli nel 1855, che vi investì notevoli capitali fino al 1858. « Il prezzo di acquisto dei 400 ettari circa della tenuta era stato di L. 42.900 toscane; in seguito ne erano state spese altre 42.000 per affrancare il fondo dagli oneri che su di esso gravavano. Le spese di registro e piccoli acquisti successivi assorbirono altre 8000 lire. La voce più nuova però, per l'investimento di capitali, era quella in macchine, ascendente a complessive L. 20.000. Nel 1858, Ricasoli aveva già " versato " in Maremma per 20 mila scudi, cioè 140.000 lire. La somma complessiva al 1863, valutata per comodità in vecchia moneta toscana dallo stesso Ricasoli, ammontava a 245.590 lire, pari a lire italiane 206.000 circa. Nel 1875 il valore era salito a L. 372.962, compresa però la tenuta della Sugarella che Ricasoli aveva comprato nel 1864. Non si può certo affermare che l'impresa di "grande coltura" in Maremma riuscisse felice dal punto di vista dello scopo propostosi dal Ricasoli, quello del profitto dell'imprenditore. Le spese per Barbanella superarono quasi costantemente le entrate; tra il 1855 ed il 1861 ci fu uno scapito di 60.000 lire e dopo un primo anno di bilancio in attivo (il 1862-1863) si tornò a conti sempre in rosso, anche se in misura minore che nel passato, fino al 1868. Solo negli anni '70 — quando la "gran cultura", come vedremo, era già stata dichiarata fallita - la situazione contabile migliora. Le ragioni per cui il tentativo agrario più ambizioso di Ricasoli coincise con un fallimento finanziario sono certo molteplici, ma ne esiste forse una di fondo. Ricasoli tentava di intervenire radicalmente nella trasformazione di una realtà agraria molto difficile ed arretrata, con un impegno finanziario che prefigurava, per riscuotere successo, risultati positivi a breve termine. Ma le innovazioni nel settore agricolo — specialmente le più audaci — richiedono generalmente tempi lunghi. La stessa acquisizione della nuova tecnologia si rivelò difficile; mentre una macchina montata in un opificio funziona presso a poco alla stessa maniera in ogni paese, le differenze possono essere molto più notevoli in campo agricolo. L'esperienza delle macchine che Ricasoli comprò e fece lavorare a Barbanella è una delle tante riprove della difficoltà di acquisire e trapiantare tecnologia da un certo tipo di agricoltura ad un'altra. Le mietitrici e le seminatrici introdotte erano state progettate per tipi di terreno molto diversi quanto a struttura fisica e pedologica, sistemazione idraulica e metodi di coltura; non c'è da stupirsi se diedero, contrariamente alle grandi speranze del barone, un mediocre risultato nel nuovo ambiente. All'incirca dal 1858, con la comparsa dell'interesse per la vita politica, con le difficoltà finanziarie permanenti nell'azienda l'entusiasmo di Ricasoli andò diminuendo fortemente. A quell'epoca, infatti, Ricasoli manifesta il desiderio di vendere la tenuta; per una simile impresa sarebbe stato necessario che il proprietario, accollatasi la conduzione del fondo con manodopera bracciantile, restasse poi tutto l'anno a vigilare sullo svolgimento delle operazioni agrarie, mentre egli non abbandonava l'effettiva ed assoluta cura di Terranuova e di Brolio; un tentativo di affitto sociale non lo aveva soddisfatto. Ritornato ad affidare l'amministrazione della tenuta ad un agente, le possibilità di occuparsi direttamente della gestione di Barbanella si ridusse ulteriormente con il suo reingresso nella vita politica. Né riusciva a far sì che gli agenti lasciati a Barbanella seguissero i criteri da lui adottati per la " grande coltura ", e ne parla con tono di scoraggiato rammarico:"... Fra le altre cose che ho saputo di codesto somaro del Donnini vi è quella che non abbia mietuto a macchina che pochissimo grano, atteso lo avere macchine in cattivo stato, e la sua incapacità. Mi ha recato gravi danni... Io gradisco che il nuovo Agente stia a Barbanella, come vi sta il Donnini, che si procuri di megliorarvi i sistemi agrarii senza tornare ai vecchi sistemi maremmani; che si procuri di fare tutto con saggia economia, per modo che le spese scemino, e le entrate si accrescano; che si adoperino le macchine, e i nuovi ordigni, che fanno tanto bene, e procurano tanti miglioramenti ...". Dopo essere ritornato più volte sul progetto di vendere Barbanella, con la quale uscirebbe "da questi capigiri, e dalle mani della canaglia d'ogni sorte" viene il ripiegamento per l'azienda di Maremma su di un programma minimo, avvio all'abbandono della "grande coltura" capitalistica: ritorno al bestiame brado, riduzione della semina del grano.

Ma Ricasoli non pensava di ritornare ad una coltura estensiva: infatti fa compiere contemporaneamente piantagioni di viti ed olivi. È un provvedimento che prelude al progetto di costruzione di ventiquattro case coloniche e di appoderamento, con l'abbandono della conduzione diretta. Il cammino in questa direzione si avvia nei primi anni dopo l'Unità, ma si rivela di lunga attuazione: nel 1873 risultano costituiti a Barbanella solo tre poderi, mentre il resto dell'azienda non era ancora appoderato. Il grande esperimento di investimento rapido ed ingente di capitali nell'agricoltura fu dunque considerato un fallimento da Ricasoli. La tenuta di Maremma si inserisce nell'alveo della dominante mezzadria, ma conserva in parte un carattere sperimentale (come è dimostrato dalla coltivazione del cotone, che fu all'origine dei grossi scapiti intorno al 1865-1867)» (G.BIAGIOLI '80, p.92).

Fra il 1854 e il 1855 i fratelli Vincenzo e Bettino Ricasoli avevano acquistato le due tenute grossetane di Gorarella e Barbanella, In quest'ultima il barone Bettino sperimentò con larghezza di mezzi un sistema di gran coltura meccanizzata sul tipo dell'americana high farming, che in seguito al suo fallimento fu sostituita dalla introduzione della mezzadria. Nelle due foto, scattate verso il 1865 nell'aia della casa padronale di Barbanella, si possono notare alcune delle tante macchine fatte venire dal Ricasoli da ogni parte del mondo (aratri, seminatrici, raccattafieno, trinciaforaggi, mietitrici, trebbiatrici, ecc.) e fatte riparare e ricostruire a Grosseto dall'Officina Cosimini, nata proprio allora sempre per iniziativa del Ricasoli. Questi fu molto attaccato alla sua tenuta di Barbanella, dove si recava non appena gli interessi della fattoria di Brolio e l'attività politica glielo
permettevano; non a caso, nella foto qui sopra il barone è ripreso seduto sulla seminatrice in fondo a destra, ed in quella sotto in primo piano mentre osserva il funzionamento di una macchina tirata da bovi.