Barbanella è posta nell'immediato suburbio occidentale e settentrionale di Grosseto. In questo particolare della "Pianta della pianura grossetana" del 1748 (Arch. di Stato di Siena, Quattro Conservatori 3052-30) si vede come le terre di Barbanella siano sulla riva del Lago di Castiglioni, fra questo e la via che va da Grosseto a Montepescali, confinando a sud con quelle di Marrucheto e di S.Giovanni.

La definizione di 'Barbarellum' data da C. DU CANGE, Glossarium mediae et infime latinitatis, Tomo I, 1883, pag. 569 ("locus multis arborum generìbus inordinate consitus"} consente di avere nozione di quale sia l'aspetto della zona di 'Barbanella' e di 'Barbaruta' allorché ad essi è stato attribuito il nome. Ma in effetti questo sembra esser derivato dalle condizioni del terreno che fanno sì che vi sia il tipo di vegetazione che caratterizza la zona in questione: in greco, infatti, borboreos significa "pantano", "acquitrino", cioè luogo ideale per una vegetazione del tipo di quella che fa chiamare un luogo 'barbarellum'. 'Barbanella', dunque, è ipotizzabile faccia parte di quella categoria di idronimi derivati dal greco che sono presenti nel territorio maremmano a definire canali, come 'Bilogio' (canale già esistente a Castiglione della Pescaia fra il mare e la darsena, dal latino pelagus derivato dal greco pelagos, "mare"), o specchi d'acqua come 'lasco' (da askos, "vaso", "otre") e 'anghio' (documentato nel 1353 nella zona di "Lago Boccio") e 'anghione' (documentato negli Statuti di Montepescali del 1427) da angheion, "vaso". Sebbene il toponimo appaia di formazione altomedievale, dalla documentazione medievale non abbiamo altra attestazione che di un "campum positum in contrada que dicitur piscina Barbione" nel 1222, la cui localizzazione è proprio

nella zona acquitrinosa, sulla riva sud-orientale del 'Lago di Castiglioni', di cui fa parte Barbanella, e che già nel XIII secolo i grossetani sono impegnati a bonificare e porre a coltura. Come gran parte delle terre della pianura grossetana anche quelle di Barbanella appartengono per secoli prevalentemente alle istituzioni ecclesiastiche della diocesi, finché nel 1765 sono fra le migliori fra quelle concesse a livello dagli amministratori dell'Opera di S.Maria di Grosseto, secondo quanto disposto dal motuproprio del 30 marzo che riunì il diritto di pascolo alla proprietà del terreno. Al tempo della bonifica voluta da Leopoldo II Barbanella appartiene «ai fratelli Antonio e Ubaldo Andreini (salvo 3 ha di prato con una casa di Giuseppe Ponticelli), si trovano solo campi a lavorativo nudo, pasture e prati oltre a due case e ad una " casa per biforci "» (L.ROMBAI '80, p.111). La realizzazione, fra il 1829 ed il 1830, del "primo canale diversivo" col quale, nel progetto di quella bonifica, si intendeva ottenere il risultato della colmata del padule, consentì il miglioramento della tenuta, che fu acquistata nel 1855 dal barone Bettino Ricasoli che vi sperimentò con larghezza di mezzi un sistema di gran coltura meccanizzata sul tipo dell'americana "high farming".