Grossetana civitas
 
Il tentativo di comprendere quale sia la consistenza urbanistica della «Grossetana civitas» in cui nel 1138 papa Innocenzo II decide venga traslata la sede vescovile di Roselle rimane ancora, dopo l'acquisizione dei dati archeologici che è stato possibile raccogliere nel corso dei recenti lavori che hanno interessato il centro storico della città, necessariamente da riferire all'analisi e connessione delle informazioni contenute in una documentazione archivistica purtroppo non vasta, ed all'attenta osservazione delle caratteristiche dell'abitato racchiuso entro le Mura Medicee, in particolare quelle relative alla viabilità. È un fatto che gli scavi - effettuati per il rifacimento della pavimentazione - indagati dagli archeologi quantomeno un dato evidente l'hanno fornito: le strade odierne del centro storico cittadino percorrono lo stesso tracciato di strade precedenti, che a loro volta sono realizzate su strade più antiche. In nessun caso si è trovato che il tracciato di una strada moderna interessi un'area dove i ritrovamenti indichino che nel secolo XII vi fossero edifici invece che una via. Ecco, dunque, che, al fine di formulare un'ipotesi verosimile di quale sia la consistenza della città in quel secolo, trova conforto proprio dal dato archeologico il metodo di porre in relazione la lettura della documentazione archivistica con l'osservazione delle caratteristiche che ancora attribuisce al centro storico una viabilità la cui rete è rimasta la stessa per secoli. La città nel 1138 è costituita dalla congiunzione, avvenuta sugli assi principali definiti dalla "matrice funzionale" originariamente militare conferita alla città, dei piccoli nuclei esistenti in precedenza. Questi nuclei abitati sono verosimilmente i "sedilia" la cui esistenza in prossimità del castrum Grosito è attestata dal documento del 1076, dal quale è appunto possibile evincere come la trasformazione del regime fondiario intrapresa dalla famiglia aldobrandesca abbia definito la localizzazione delle aree edificabili nel territorio della loro curtis: «...unum sedile et casalinum in Grossito prope eccl. S.Lucie, fines: vie et t.s. Marie; sedile…fines: via publica, sedile Ilditi celerarii; t. iuxta vineam Grecisca, fines: vinea comitile, t. S.Laurentii, vinea et t. Grecisca; t. cum quercitu in Malaciatico» (Archivio di Stato di Siena. Diplomatico. Riformagioni 1076 Settembre).

 

Forse già nel XII secolo la città una propria fortificazione, ed addirittura prima del 1138. L'annalista Saxo (Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, Tomo VI, Hannover 1884, p.773) riferisce di un un episodio che s'inquadra nello scenario delle lotte, di cui fu teatro l'Italia, fra il pontefice Innocenzo II e l'antipapa Anacleto. Il margravio Errico di Baviera assediò Grosseto nel 1137, e l'annalista narra che i grossetani si arresero dopo la caduta del castrum munitissimum: ciò sembra suggerire l'ipotesi che essi, così facendo, abbiano rinunciato a difendersi e, dunque, ad avvalersi di strutture difensive diverse da quelle già vinte dal margravio imperiale. Se non ne avessero avute sembra chiaro che la conquista di Grosseto sarebbe stata cosa già fatta con quella della fortificazione espugnata. Dunque ciò fa supporre che esistesse una situazione costituita da due sistemi difensivi distinti. Uno composto da una rocca e dalle strutture relative al castrum aldobrandesco già attestato
nel '973; l'altro realizzato dagli abitanti del suburbio regolato urbanisticamente - e dunque ormai «borgo» -, al di fuori delle mura castrensi. Se, da quanto riferito dall'annalista, questa distinzione fra castrum aldobrandesco e fortificazione della città è soltanto intuibile , è invece certa nei primi decenni del secolo successivo. L'esistenza di «muros comunis de Grosseto» è attestata esplicitamente nel 1224, ma già nella carta libertatis del 1204 la prescrizione relativa a quanto fosse stato commesso «de foris» (c.2), rispetto alla città, lascia intendere sia assai probabile che la costruzione delle mura risalga al XII secolo. Questo, forse, col sostanziale miglioramento della precedente fortificazione che è ragionevole supporre avesse il borgo sorto in prossimità del castello aldobrandesco ed attorno alla pieve di S.Maria, dopo che la presenza del vescovo nella città, con le numerose proprietà che qui gli sono attestate appartenere nel 1188, ha fatto sì che la "matrice funzionale" per lo sviluppo dell'abitato di Grosseto sia divenuta «matrice funzionale feudale-ecclesiastica».
 
Nell'applicazione del metodo dello sviluppo modulare proprio alla crescita urbanistica secondo la matrice funzionale militare, allorché viene saldato il piccolo nucleo abitato in prossimità di S.Lucia - forse il «sedile et casalinum in Grossito prope eccl. S.Lucie» del 1076- la preesistenza degli edifici attorno all'ospedale di S.Leonardo, documentato nel 1152, fa sì che si abbia un adattamento. Ovvero che avvenga la divaricazione fra le due serie di moduli che dall'asse longitudinale della città vanno verso l'antica chiesa. Da notare la simmetria delle vie (oggi Filzi e Vinzaglio), che si incurvano ambedue verso due larghi (le piazzette S.Michele e Bruno Dominici): è, questo, un fenomeno tipico di vie che giungono ad un "traguardo", ovvero ad un limite di espansione di un centro abitato medievale. In questo caso il "traguardo" è costituito dal tratto della Via Cupa che tocca l'abitato di Grosseto nell'itinerario da Istia alle saline di Querciolo. Verosimilmente le prime mura grossetane - o quantomeno il primo recinto fortificato - avevano qui il loro lato settentrionale. Altro esempio grossetano di un largo esistente in prossimità delle mura è l' agio di S.Lucia: si trova anch'esso all'estremità di una via che porta al limite della città, in questo caso a quello orientale.

 

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