Il grande sviluppo economico del '200
 
La realizzazione delle grandi opere che trasformano la città alla fine del XIII secolo richiede indubbiamente una grande disponibilità di risorse finanziarie, possibile solo in presenza di una situazione economica favorevole, e dunque di una buona condizione ambientale del territorio circostante Grosseto. Il Lago di Castiglioni nel '200 aveva l'acqua salata di una laguna aperta al mare, dalla quale veniva estratto sale fin in vicinanza di Grosseto, al Querciolo, dove le saline rimarranno attive almeno fino al 1386, e dunque non aveva certo la stessa negativa influenza che avrà sulle condizioni ambientali dal XV secolo alla bonifica leopoldina, allorché sarà uno specchio d'acqua dolce stagnante. Tutti gli altri piccoli specchi d'acqua vicini alla città, come il Lago Bernardo ed il Lago Boccio, si trovavano fra terre coltivate, e non abbandonate all'impaludamento. Dall'analisi della documentazione emerge non solo l'estrazione sociale e la consistenza economica dei singoli appartenenti al ceto dirigente che concepisce e realizza il programma di ristrutturazione della città, ma anche un interessante quadro delle attività economiche svolte in un contesto ambientale che i grossetani hanno cura di migliorare. Il sale era la risorsa principale del territorio grossetano, tanto cospicua che il suo controllo costituì, nei rapporti fra cittadini, famiglia aldobrandesca e comune di Siena, il nodo politico sostanziale, che certo non trovò soluzione nella costituzione della società della Dogana del Sale del 1203.

Archivio di Stato di Siena. Conventi 162, c. 306r-v. 1254 Giugno 10. Un uomo dell' Abbazia al Fango riceve la cittadinanza di Grosseto e con essa, in premio, un terra in «contrada de Belvedere» (presso Barbanella). Documenti della seconda metà del '200 riferiscono di assegnazioni di terre del Comune in premio ad uomini che chiedono la cittadinanza grossetana; ebbene, quelle terre erano ubicate proprio là ove si avvertiva la necessità della presenza di agricoltori per realizzare opere di regimentazione delle acque nei fondi loro assegnati e per assicurare la manutenzione di quelle realizzate dal Comune, quali la "Fossa del Comune", documentata già nel 1253 nella zona di Barbanella, in prossimità del Lago di Castiglioni e del Lago Boccio. In questa zona la cura dei terrenì è anche garantita dalla presenza della grancia di S.Andrea dei cistercensi di S. Galgano. Rivelatore dell' abilità e dell' esperienza dei Grossetani in materia di bonifica dei terreni è probabilmente il fatto che nel 1247 il Comune di Siena, intraprendendo il risanamento idraulico della Selva del Lago, chiamasse Ranuccio da Grosseto a far parte del gruppo di esperti incaricato di eseguire l' opera. Contratti di compravendita e testamenti di Grossetani mostrano chiaramente come la pianura attorno alla città fosse frazionata in numerosi appezzamenti di proprietà di molti cittadini, con numerose vigne ed oliveti.

L'imposizione di un prezzo fissato dalla società non poté essere evidentemente gradita ai Grossetani proprietari di saline, che nei venti anni successivi riuscirono ad affermare anche sul piano politico il loro peso economico: nel 1222 infatti i figli di Ildebrandino dovettero promettere nella loro' carta libertatis' che avrebbero potuto fare accordi di Dogana del sale di Grosseto in futuro soltanto col consenso del suo Consiglio comunale. In questo non a caso troviamo sempre in posizione eminente i rappresentanti delle famiglie dei più importanti produttori di sale, peraltro considerate tra quelle nobili della città, come gli Scaldoni ed i Rustichelli. Nel 1254 Siena fu addirittura costretta a chiedere che nei suoi confronti venisse tolto il divieto di esportazione del sale stabilito dai Grossetani, che si avvalevano del loro prezioso prodotto anche per inserirsi nel giuoco politico toscano, in particolare giovandosi della rivalità fra Siena e Firenze mirando a trame notevoli vantaggi economici. Nel 1256 mercanti fiorentini si recarono a Grosseto «pro emendo sale et profaciendo doganam salis»: i Senesi dovettero allora inviare propri ambasciatori per chiedere di bloccare l'iniziativa riservando a Siena l'acquisto del sale grossetano. Ma i produttori non erano disposti a subire divieti così gravosi. Documenti del 1259 atte stano infatti che sale grossetano, trasportato via mare da mercanti fiorentini su navi di armatori liguri, riforniva anche Pisa. Oltre a quella del sale, la produzione di "biada" costituiva una notevole fonte di reddito per i propieta-
ri terrieri grossetani. Le quantità di frumento, orzo, spelta (cereali detti appunto genericamente biada) esportate a Siena erano certo notevolissime, tanto da richiedere appositi accordi commerciali, nei quali si aveva cura di tutelare gli interessi dei produttori grossetani contro la pretesa senese di approvvigionarsi a basso costo. Ma i Grossetani vendevano il loro grano anche altrove, avvalendosi del porto della loro città. Una nave di un armatore di Pianosa nel 1274 ne trasportava a Genova, e numerose altre navi genovesi sono documentate compiere viaggi in Maremma per acquistare grano e orzo. Fra i produttori di "biada" si distinse la famiglia di Carmignano, il fondatore dell'ospedale di S.Giovanni Battista. Delle sue terre quelle seminate a frumento sono alquanto distanti dalla città, cioè nel territorio di Alberese ed «in contrata Campo Galliano». Terre "aratorie", cioè destinate alla produzione di cereali, sono documentate anche presso Raspesa (Rispescia), il Lago di Pier Donato e lungo la via ad Portum Stagni (fra S. Giovanni e Barbanella). Nei capitoli imposti a Grosseto da Siena nel 1266 è concesso ai grossetani di poter fare commercio del proprio vino (A.S.S., Capitoli 20, c. l, 1266 Marzo 6), ed anche questa doveva essere verosimilmente un'attività economica redditizia: Accorso di Bernardo carraio grossetano commerciava in vino nel 1270, e con quest'attività complementare a quella di carraio, garantiva alla propria famiglia disponibilità finanziarie e prestigio sociale, tanto che suo nipote Credo nel 1310 è notaio e membro del Consiglio Generale della città. Probabilmente è proprio in relazione alla produzione grossetana di vino l'attività di barlettaio che svolgeva in Grosseto nel 1245 un certo Franco, e forse le botticelle fabbricate nella sua bottega venivano utilizzate non solo per la commercializzazione del vino grossetano, ma anche per quella di altre derrate, particolarmente il pesce. Pescaie di cittadini grossetani erano nel Lago di Castiglioni, ed è attestato un fiorente commercio delle anguille lì pescate. Inoltre si doveva esportare il pesce sotto sale, conservato appunto in barilotti. Nei documenti grossetani vengono citati pescatori, ed i contratti per le forniture di sale a Pisa del 1259 sono rogati nel porto della Foce di Grosseto presso la "clepa ", ovvero il mercato del pesce. È del 1208 la prima informazione relativa ad un'attività di allevamento del bestiame su vasta scala, in questo caso pecore. Dal testamento del conte Ildebrandino emerge chiaramente quanto rilievo avesse nelle sue entrate il reddito prodotto dall'allevamento delle "pecore garfagnine", e nell'atto di divisione del contado aldobrandesco del 1216 fra i figli di Ildebrandino si fa esplicito riferimento ai «proventi di pedaggio e di guida del bestiame dalla Garfagnana». Alla fine del Duecento la piana grossetana era già meta di greggi transumanti provenienti anche da molto lontano: da una carta pisana apprendiamo che nel 1298 un armento di 2.000 pecore e capre dalla Garfagnana venne a svernare nelle pianure di Grosseto. È improbabile che i pascoli fossero nelle immediate vicinanze della città, visto che la documentazione vi attesta una campagna intensamente coltivata. È però verosimile che fossero destinate a pascolo le terre al di là dell'Ombrone, nella zona di Giuncola, di Rispescia, dei Pratali e dei Marrucheti, ove per secoli, successivamente, si trovavano le bandite riservate al pascolo delle bestie dei Grossetani. Nondimeno fu nella zona a nord della città, sulla riva orientale del Lago di Castiglioni, presso il Lago Boccio verso Montepescali, cioè nel luogo presso "le fosse di Grosseto", che nel 1257 l'aldobrandesco Ildebrandino di Sovana avrebbe rubato ai Grossetani bestie per il valore di 1.000 lire. La fortuna della famiglia di Feo padre di Carmignano, il fondatore dell'ospedale grossetano nel 1309, derivò dalla fabbricazione di cappelli, legata alla produzione locale della lana. Il caso di Feo dimostra che l'allevamento delle pecore determinava un'attività di trasformazione anche in Grosseto, che dunque non fu soltanto un luogo di pascolo o coltivazione. Inoltre, non pochi sono i Grossetani che esercitarono il mestiere di "pellipario", ossia di pellicciaio, in un' epoca in cui la pelliccia, soprattutto quella lavorata, era quella dell'agnello. Un numero straordinariamente grande, per una città di modeste dimensioni qual era Grosseto nella seconda metà del '200, era poi quello dei "carnaioli". È questo un fenomeno che certamente riflette l'entità della produzione zootecnica, ma poiché non è pensabile che la popolazione di Grosseto necessitasse di tanti macellai per il commercio al minuto, non c'è che da supporre una lavorazione delle carni per l'esportazione: verosimilmente si trattava di carne salata, contenuta magari nei barili costruiti appositamente da barlettai come il Franco del quale si è detto. Sta di fatto che il mestiere di carnaiolo per alcuni Grossetani determinò condizioni economiche assai brillanti, come nel caso della dinastia di macellai che aveva in Giovanni il suo capostipite documentato dal 1224. I suoi discendenti nel 1298 possedevano parte della pescaia di Grado presso Castiglione della Pescaia e terre presso il Bagno di Roselle e nella zona delle saline del Querciolo. Le carni lavorate dai carnaioli grossetani dovettero essere soprattutto di maiale e probabilmente venivano esportate grandi quantità di lardo sotto sale. In Grosseto c'è addirittura una famiglia Porcaioli, con un nome cioè la cui origine è assolutamente esplicita. E si tratta di una famiglia importante: Pilicone Porcaiolo fu consigliere del Comune nel giuramento del 1250, e suo fratello Crescenzio era fra i 20 nobili grossetani guelfi che, fuoriusciti nel 1260, giurarono nel 1264 fedeltà a Siena ed a re Manfredi. Ma non è questa la sola famiglia importante di Grosseto che allevava maiali su larga scala. Lo faceva la stessa famiglia degli Abati del Malia, visto che nel 1260 ad Abbate venne rubato un branco di porci, venduto poi a Volterra. E porci allevava la famiglia Bostacci, fedelissima degli Aldobrandeschi nei primi anni del secolo, che risulta possedere nel 1222 con Ildebrando Bostaccio il grande porcile sulla via del Porto allo Stagno detto nel 1261 «porcile Marescotti» dal nome del figlio del primo proprietario. È questi Marescotto Bostaccio, consigliere comunale nel 1250 e padre di quel Griffuccio che nel 1282 è documentato essersi dato alla professione di soldato di ventura. Interessantissima è l'attività commerciale esercitata nel porto marittimo di Grosseto, il Porto della Foce, nel quale vengono imbarcati sale per Pisa e grano per Genova. Questa attività appare particolarmente vivacizzata attorno agli anni '60 del '200 dall'interesse di mercanti fiorentini in affari con armatori liguri e determinava anche in città un' attività finanziaria che coinvolgeva cittadini grossetani e richiamava operatori economici da Firenze e dalla Liguria. Nel 1275 il grossetano Ghazzuccio di Giovanni Calure concedeva un mutuo di 349 fiorini d'oro alla società fiorentina di Iacopo Latini e Lamberto Lantalle, ovvero a quella stessa società dei contratti del 1259 relativi al trasporto di sale a Pisa. Nel 1304 messer Beringerio (appartenente alla famiglia che in Grosseto è probabilmente seconda soltanto a quella degli Abati) e lo speziale Niccolò del fu Bernardo, anch' egli grossetano, costituirono una società di capitali il cui atto fu rogato dal notaio Valentino del fu Amerio, un fiorentino che operava in Grosseto. Quest'ultimo probabilmente fu richiamato qui dalle attività che vi svolgevano i suoi concittadini, magari trasferitisi nella città maremmana, attratti dalla sua vitalità economica. Il più antico dei documenti da lui scritti, tutti relativi a finanziamenti, cioè una carta del gennaio 1303, riguarda appunto un fiorentino, Vanni di messer Neri dei Bisdomini, divenuto cittadino grossetano al pari dell' Ansaldo che gli è debitore, originario di Savona. Ancora un fiorentino ed un ligure, quindi, che facevano affari in Grosseto, e nel caso di Ansaldo da Savona i documenti rilevano un ricorso assiduo a finanziamenti ottenuti anche da cittadini grossetani (cfr.M.ASCHERI-G.PRISCO, La cattedrale, il riordino urbanistico e l’élite di Grosseto dal Duecento al Trecento, in La Cattedrale di Grosseto e il suo popolo 1295-1995. Atti del Convegno di studi storici. Grosseto 3-4 novembre 1955, [a cura di V.Burattini], Grosseto 1996)