Alla fine del secolo
 
«I Grossetani seminavano circa 1300 moggia di grano, da sei anni in qua seminavano circa 700 o 800 moggia e ora se ne semina 300 e questo viene perché dalla guerra in qua si sono ite con Dio molte famiglie, morte e impoverite, è parimenti morto il bestiame per non aver da governarlo e non aver bandite». Questo è quanto riferisce nella sua "visita" del 1572 Francesco Rasi, " Fiscale di Siena e suo dominio" sulle condizioni di Grosseto, la cui popolazione è di soli centocinquanta fuochi, circa settecentocinquanta persone.

Archivio di Stato di Siena.Ospedale di S.Maria della Scala 1406, c.9v. "Stima fatta delle case compre dalla Religione di S.Stefano il 10 Aprile 1593". Si tratta di 19 case, di cui 8 nella "Piazza di Grosseto", 2 nella "Piazza di S.Leonardo", 1 in "Via Cittadina".

Nel 1586 Ascanio Cittadini individua le cause peculiari di questa situazione demografica, allarmante per una città che con la costruzione delle nuove mura è chiamata ad un ruolo di primo piano nel sistema difensivo dello Stato mediceo, nell'imputridimento delle acque stagnanti, nella fermentazione delle immondizie accumulate nelle strade, nella scarsità ed insalubrità delle acque potabili e nella insufficienza e cattiva qualità dei medicinali disponibili. Queste, asserisce il Cittadini, sono le cause delle malattie che falcidiano la popolazione: «la più parte delle infermità delli abitatori, le acquistavano la stagione della invernata e la state poi si terminavano in più delle volte per morte o si riducevano per il meno incurabili e per quella ragione restava in buona parte vedova di habitatori, quasi come casa abbandonata». Nello stesso anno Enea Salvini, nel suo memoriale al Granduca, rileva che lo spopolamento riguarda anche le campagne attorno alla città, e che questa potrà avere un adeguato numero «di più utili habitatori e che esercitassero maggiori imprese di lavori e di bestiami» soltanto attraverso la concessione a cittadini senesi e fiorentini dei «medesimi privilegi, esentioni e franchezze con lor bestiami domi e bradi, e con quelli che servono per i bisogni di quel lavoro, che godono e che son soliti godere i nativi habitatori Grossetani, e fussero accettati, tenuti e reputati da ciascheduno per tali e similmente fussero obbligati ai medesimi pesi e gravezze, non pregiudicando ad altri lor maggior privilegi come cittadini Senesi e Fiorentini». Tanto è sentita la carenza di quegli «utili habitatori», che il Cittadini giunge ad osservare che, se si continuerà ad assegnare il compito della guardia alle fortificazioni della città a «li pochi et poveri habitatori, faccendieri Grossetani», avverrà che i lavori di campagna saranno necessariamente abbandonati e che «la più parte di essi per disperazione si anderanno con Dio». Nella sua relazione al granduca il Cittadini pone in particolare rilievo la necessità di migliorare le condizioni di vita in città, le cui condizioni di sporcizia e di insalubrità dovevano essere affrontate facendo lastricare e mattonare le strade, trasportare lontane le immondizie, costruire nuove cisterne, tenere pulite quelle esistenti ed infine esercitare una rigorosa vigilanza sulle farmacie.
Le raccomandazioni dei suoi funzionari sono prese in considerazione dal granduca Ferdinando I, che con l'istituzione, nel 1592, dell'Uffizio dei Fossi dà una guida tecnica ed amministrativa alle opere di bonifica della pianura grossetana, con l'obiettivo di incrementarne la produzione cerealicola, ed agli interventi per la soluzione delle gravi carenze igieniche ed abitative della città. Un notevole recupero di abitazioni si deve all'intervento dell'Ordine dei Cavalieri di S.Stefano, vengono pavimentate le strade e realizzate numerose cisterne, fra cui quella del Pozzo della Bufala, nel chiostro del convento di S.Francesco, ed allo stesso magistrato dell'Uffizio dei Fossi viene affidato il compito di assicurare che le immondizie siano portate fuori dalla città. Le iniziative di Ferdinando I hanno un buon risultato: la popolazione di Grosseto, che nel 1592 raggiunge le mille unità, nel 1596 raggiunge le milleseicentocinquantaquattro unità, e nel 1608 circa duemila, distribuite in cinquecento fuochi.

 

 

J. BOLDRINI, Relazione sul Capitanato di Grosseto nell'anno 1760:« Due altre iscrizioni in marmo. senza millesimo, sono nella Piazza, una al canto delle prigioni, l'altra al canto del macello, ed una terza, simile è in via del Ghetto presso l'imboccatura della Piazza medesima, le quali tutte corrispondono a tre terzi, ne' quali fu divisa la Città dal Maestrato de’ Fossi , e in sostanza prescrivono quei determinati giorni della settimana, ne' quali deve passare pel respettivo Terzo la Caretta del detto Maestrato per levare l'immondizia delle Strade». Nella foto la lapide di via del Ghetto, oggi via Ricasoli.