Dal castrum alla città
 
La sicura presenza in Grosseto, nel 1015, della pieve di S. Maria attesta certamente l'esistenza, già negli anni attorno al Mille, di un'area di insediamento esterno al castrum, che in S.Giorgio la propria chiesa, quella che è attestata nel 973. La pieve, infatti, sorge verosimilmente fuori dalle mura del fortilizio, secondo quanto sovente accade per le chiese battesimali che vengono edificate in un luogo dopo che in esso è già avvenuto l'incastellamento. La contemporanea esistenza di due chiese nel luogo fortificato della corte di Grossito documenta che certamente questo ha avuta la capacità di attrarre nuovi abitanti, e ciò in misura tale da potersi chiamare castrum. La sostanziale evoluzione rispetto al primo impianto, per cui S.Giorgio è la cappella di coloro che abitano stabilmente all’interno del perimetro fortificato, mentre la pieve di S.Maria, oltre ad essere la chiesa battesimale per tutti quanti abitano nel territorio di Grossito, e forse anche di Calliano, è la chiesa di quanti non risiedono nel castrum, ma hanno in esso il principale punto di riferimento per le proprie attività, sia che vivano presso di esso nel borgo sorto attorno alla pieve stessa per espansione

Ipotesi ricostruttiva dello sviluppo del centro storico di Grosseto

all’esterno dell’insediamento, sia che appartengano alla popolazione degli insediamenti sparsi nella campagna, in prevalenza composta dalle famiglie dei massari delle casae appartenenti alla corte. Il fatto che nell’area circostante il castrum aldobrandesco nel 1076 sia attestata un’altra chiesa, quella di S.Lucia , a nord-est rispetto al fortilizio ed alla pieve, sulla strada che da Istia conduce al Querciolo, il luogo sulla riva meridionale del Lago Prile, ove nel 1152 sono le saline aldobrandesche , con ogni probabilità è indice di discreto popolamento, e di come questa consistenza demografica possa dare origine anche a piccoli nuclei abitati.

È proprio la charta offertionis del 1076 a fornire informazioni che sembrano confortare una ipotesi del genere. Il documento infatti, mostra come la situazione del territorio esterno al castrum di Grosseto fosse radicalmente mutata rispetto a quella del tempo in cui era governato come pertinenza della corte di S. Giorgio e come piuttosto gli Aldobrandeschi considerino almeno una sua parte alla stregua di borgo extramurario, giacché su di esso esercitano la loro signoria in modo significativamente diverso da quello classico per una corte altomedievale, in particolare per quanto concerne la definizione delle sue aree edifìcabili (sedilia). Dell'antica organizzazione curtense del possedimento aldobrandesco in Grosseto null'altro rimane ad alimentare il ricordo se non la citazione di una «masiam positam quae iam fuit de Lombardo». Compaiono, invece, ad attestarne la disgregazione, un certo numero di sedilia, i possessi della pieve («terra Sancte Marie»), quelli di alcuni piccoli proprietari («terra que fuit Sitj filio Barunki, quercitu qui fuit Runcioli»), e del Monastero di Giugnano («Ilditj celerarii»).Quest'ultima informazione è particolarmente interessante: con ogni probabilità rivela anche che, sempre in prossimità del Lago, già è realizzato - appunto con una cella - il nucleo originario dei beni della chiesa di S.Andrea, documentata nel 1140 appartenere a quello stesso monastero . E’ evidente come l’esistenza della cella sia indicativa di una situazione in cui il popolamento del territorio e la sua organizzazione sono di grande interesse, essendo appunto la funzione colonizzatrice quella fondamentale per questo tipo di struttura realizzata dai monasteri. L' evidente l'intento aldobrandesco di conferire una maggiore redditività alla corte si attua, dunque, con un frazionamento di questa in lotti, ai cui assegnatari è data la facoltà di edificare, ed il castrum della corte di Grosito ha evidentemente una funzione sempre più lontana da quella di semplice 'castello curtense', e sempre più attinente a quella di fortificazione relativa ad un insediamento che costituisce il centro di un sistema di potere militare, politico ed economico, che si avvia ormai decisamente a divenire sistema di potere signorile.
La strada che costituisce l'asse trasversale per lo sviluppo urbanistico di Grosseto nel secolo XI proviene da Istia e passa a poca distanza dal castrum aldobrandesco, per dirigersi verso la riva del Lago Prile, mentre l'asse longitudinale è rappresentato da quella che la incrocia ortogonalmente. Ovvero la via che, superato l'Ombrone, prosegue verso il nord costeggiando le mura del castrum ed attraversa il borgo che, ampliandosi, assume progressivamente una forma lenticolare, tipica degli insediamenti che si sviluppano lungo una strada. L'osservazione di come anche oggi si presenta la città lungo questi due assi rivela che vi sono stati criteri imposti a regolare lo sviluppo altrimenti spontaneo del borgo, e la saldatura fra questo ed i piccoli nuclei abitati prossimi ad esso, come quello di S. Lucia. L'asse longitudinale della città (l'odierno corso Carducci) appare scandito secondo una modularità che si esprime in una misura assai significativa: la distanza tra gli incroci con le vie trasversali è costantemente di poco superiore ai 71 metri, ovvero corrisponde alla misura del lato maggiore di uno iugero romano. Tale misura si riscontra anche in molte altre zone del centro storico e potrebbe rappresentare indizio di una pianificazione urbanistica realizzata prima della fine del Duecento tenendo conto delle preesistenze romane ed altomedievali, ovvero delle misure del castrum (cfr. G.PRISCO '89).