La vita nel convento  
   

Museo Diocesano d'Arte Sacra. Ilario Casolani. Madonna col Bambino in gloria e i Santi Cipriano, Sebastiano, Lorenzo e Rocco, 1630. Particolare relativo all'area in cui si trova il convento di S.Chiara col suo orto, in prossimità di quello di S.Francesco e della chiesa di S.Pietro nella vista della città di Grosseto ai piedi della Madonna e dei Santi protettori..

Le condizioni di vita della piccola comunità furono sempre modeste, tanto che le monache furono costrette in più occasioni a ricorrere alla questua. Dalle memorie di Francesco Anichini (Archivio Vescovile di Grosseto, Ms.1723, Storia ecclesiastica della Città e Diocesi di Grosseto, Tomo I, 1751, cc.181v-186v) si apprende che le suore, negli anni di attesa per il nuovo convento da costruirsi nell'area del "prato di S.Francesco", furono provvisoriamente alloggiate in alcuni quartieri presso la chiesa di S.Pietro. «Quivi stettero fino a tanto che non venne edificato e reso abitabile il nuovo convento, in prossimità di quello dei francescani, anzi nell'antico cimitero di questi, sebbene le nostre suore si fossero opposte alla scelta del suolo fabbricativo, poiché costoro avrebbero desiderato il nuovo monastero lì presso dove allora si trovavano cioè vicino al pozzo di S.Pietro (Erano quelle case dove poi si stabilì l’Uffizio dei Fossi, oggi sede del Genio Civile: tanto è vero che il detto Uffizio pagava un'annua prestazione alle monache di Santa Chiara che da pigionali erano divenute proprietarie di quello stabile). Ma il Sovrano non ammetteva doglianze, il convento doveva edificarsi nel luogo stabilito, e colla maggior celerità possibile compiuto il piano terreno

si volle che le sorelle di Santa Chiara vi andassero subito ad abitare. C'informano le memorie di Mons. Claudio Borghesi che questo Prelato visitando il nuovo convento delle clarisse si rammaricò nel trovare le monache in tristi condizioni di salute ed in pericolo di infermargi per I'umido della nuova fabbrica.
 
Nel 1592 non era per anco terminata la costruzione del nuovo convento per cui la Comunità di Grosseto fece vive istanze al Granduca che si degnasse completarlo proponendo poi in varie adunanze tutti quei compensi necessari allo scopo. Si sa dal nostro Anichini che " fino al 1595 si portassero ( le suore) a sentir la messa nella Cattedrale ed alcuni anni dopo trovasi ancora che andassero a far le loro devozioni nella chiesa dei Padri di S. Francesco dove parimente si seppellivano". Si erano adoperati i Vescovi di Grosseto affinché le ridette suore, a norma della bolla di Pio V che comincia circa pastoralis, si abbracciassero la clausura, e di più moderassero il loro metodo di vivere che aveva del secolaresco: ma quelle adducendo vari motivi continuavano a vivere secondo la loro antica consuetudine, perciò i Vescovi proibirono nuove vestizioni di aurore ed imposero alle conviventi una nuova regola di vestire. Non obbedendo esse, si comminarono nuove pene (Cfr. Visita di Mons. Clemente Politi del 1604 nell’Archivio vescovile. Fascio A, p.63). Finalmente nell’anno 1620 ridotte al numero di tre sole, e nel 1624 a due decisero di seguire con tutta osservanza le prescrizioni ecclesiastiche coll’abbracciare la clausura e professare scrupolosamente la regola del terzo ordine di San Francesco (Nella Cancelleria Vescovile al Fascio A di detto convento vi è il Memoriale delle due suore rimaste in convento per impetrare dalla Santa Sede la licenza di professare i voti solenni per la clausura esponendovisi ancora di essere in pronto le fanciulle che dovevano vestire l’abito religioso). Supplicarono perciò il granduca che ampliasse loro il monastero in modo da renderlo capace di accogliere almeno dodici suore. Di fatti con rescritto del 29 maggio del ridetto anno fu ordinato al Provveditore di Grosseto doversi fornire dallo Scrittoio dalle fortezze e fabbriche tutto l’occorrente perché fosse compiuto il monastero delle clarisse.
 

Archivio di Stato di Siena, Conventi 491. ‘Cabreo di S.Francesco di Grosseto, 1723, c.28. Terre appartenenti al convento di S.Chiara confinano con quelle dei frati di S.Francesco i località Grillese. Con la soppressione del convento i pochi beni di cui disponeva, assieme ai locali del convento stesso, passarono all'Ospedale della Misericordia di Grosseto.

La scarsità delle rendite non permetteva di mantenere un numero di suore come avrebbesi desiderato, perciò le monache avanzarono domanda alla Comunità per essere soccorse, e questa trovò modo di risolvere il problema economico con l’aiuto dell’Opera della Cattedrale assegnando cento scudi annui a detto monastero e di più con altra deliberazione si stabilì che l’Opera stessa dovesse somministrare altri cinquanta scudi oltre quelli assegnati fino al bisogno. La Santa Sede fino dal 21 luglio 1629 dava facoltà e licenza alle monache di Grosseto di professare i solenni voti religiosi, ma non prima del 1634 potè darsi esecuzione alle disposizioni pontificie, allorquando cioè suor Eusindia Veggiosi nel 14 giugno di quell’anno unica superstite del monastero professò con le nuove disposizioni per prima la regola di S. Chiara alla quale fecero seguito altre volenterose. Con una deliberazione consiliare si erano obbligati tutti i faccendieri a somministrare alle monache per tre anni una determinata elemosina di grano (Memorie H cit. f. 141.) ed il Vescovo di quel tempo, considerata la povertà del monastero ingiungeva che le fanciulle da monacarsi dovessero pagare la retta anticipata di lire 15 il mese sborsandone l’importare in una sola volta e che la dote per le monacande fosse rispetto alle fanciulle grossetane fiorini 300 e di quelle fuori scudi 200 fiorentini di lire sette per scudo oltre le spese occorrenti di corredo ecc. (Fascio cit. A della Curia Vescovile, f. 2-3). Costituitosi adunque regolarmente il convento di S. Chiara in Grosseto furono dettati i capitoli nel 1635 di cui ci è pervenuta copia nei quali erano stabilite le regole da seguirsi dalle monache nello spirituale e nel temporale. Sebbene il monastero possedesse case e terre fu mai in prosperità e le monache non furono quasi mai numerose. Nel 1637 si ha che il vescovo Turamini visitando il convento vi trovò sei monache velate e tre servigiane, ordinò il prelato in questa circostanza che esse non potessero scendere alle grate nei giorni di festa, la quaresima e l’avvento senza un’urgente necessità da esaminarsi dalla abbadessa o dal vicario generale, e alle disubbidienti impose per la prima volta la pena di un mese di carcere ed ogni altra volta quella dell’arbitrio fino alla scomunica: negli altri tempi poi non potevano parlare se non con quei che avessero avuto la licenza in iscritto. Altri decreti in progresso
di tempo venivano emanati dai superiori ecclesiastici circa la disciplina e l’osservanza della regola di clausura (Anichini – St. cit. 197 e segg.). Circa la metà del secolo XVIII le monache essendo giunte al numero di diciotto, cioè dieci velate ed otto converse non bastando loro per vivere le entrate del monastero, fu stabilito, dopo aver ricorso all’autorità pontificia e granducale, di questuare nel tempo delle raccolte e di ammettere in convento fanciulle a pagamento per far loro scuola...A tal uopo soggiunge l’Anichini " Giacchè non prima dell’anno scorso 1750 fu possibile all’abbadessa il persuadere la somma repugnanza delle sue religiose a prevalersi di questo grazioso indulto quantunque astrette dalla mendicità per essersi ritrovate più volte prive del necessario sostentamento del pane e del vino se dalla pietà di qualche benefattore non fossero state generosamente per più giorni sovvenute, risolutissime piuttosto di morire di fame nel chiostro che di vedersi elleno, come dicevano, passeggiare per le strade fuori della clausura professata, finalmente vinta la loro connaturale erubescenza e non senza dirottissimi pianti s’indussero quattro di loro a partire la mattina dell’11 luglio 1750, stile comune, cioè due monache velate e due converse colla scorta di due uomini provetti e morigerati, ed uscendo con singulti la porta del monastero verso le ore 5 della mattina due per due cioè una velata e una servigiana, montate in calesse s’incamminarono una coppia alla volta della " Trappola", l’altra verso Castiglione affine d’intraprendere le gite da farsi secondo l’ordine già stato a ciascuna coppia prescritto...I tanti sforzi della carità cittadina non furono sufficienti a mantenere in vita il vacillante monastero delle clarisse di Grosseto, che poche e miserande lo abbandonarono verso il 1780, giacché nel 1782 epoca della legge leopoldina che sprresse i piccoli monasteri, esso non era più abitato» (A.CAPPELLI '10, pp.29-33 ).
 

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