L'edificazione del convento  
   

Archivio di Stato di Firenze. Segreteria di Gabinetto f. 695, c. 88. Particolare della "Pianta della città di Grosseto", contenuta nell'Atlante Warren: "Raccolta di piante delle principali città e fortezze del Granducato di Toscana, levate d'ordine di Sua Maestà Imperiale sotto la direzione del Signor Odoardo Warren, Colonnello del Battaglione di Artiglieria e Direttore Generale delle Fortificazioni in Toscana". Anno 1749. L'orto delle clarisse ha il lato orientale sul "Prato di S.Francesco", e quello orientale fronteggia l'Ospedale della Misericordia. Da questo lato verrà costruito l' "Arco delle monache", ed in prossimità dell'angolo verso la cappella di S.Antonio della chiesa di S.Francesco è segnalato il "Pozzo dello Spedale".

«Ci narra l'Anichini che nell'anno 1577 le monache clarisse, abbandonato l’antico monastero dell'Annunziata, presero a pigione certe case vicine a S. Pietro, riadattandole a comunità. Quivi stettero fino a tanto che non venne edificato e reso abitabile il nuovo convento, in prossimità di quello dei francescani, anzi nell'antico cimitero di questi, sebbene le nostre suore si fossero opposte alla scelta del suolo fabbricativo, poiché costoro avrebbero desiderato il nuovo monastero lì presso dove allora si trovavano cioè vicino al pozzo di S.Pietro (Erano quelle case dove poi si stabilì l’Uffizio dei Fossi, oggi sede del Genio Civile: tanto è vero che il detto Uffizio pagava un'annua prestazione alle monache di Santa Chiara che da pigionali erano divenute proprietarie di quello stabile). Ma il Sovrano non ammetteva doglianze, il convento doveva edificarsi nel luogo stabilito, e colla maggior celerità possibile compiuto il piano terreno si volle che le sorelle di Santa Chiara vi andassero subito ad abitare. C'informano le memorie di Mons. Claudio Borghesi che questo Prelato visitando il nuovo convento delle clarisse si rammaricò nel trovare le monache in tristi condizioni di salute ed in pericolo di infermarsi per I'umido della nuova fabbrica...

Nel 1592 non era per anco terminata la costruzione del nuovo convento per cui la Comunità di Grosseto fece vive istanze al Granduca che si degnasse completarlo proponendo poi in varie adunanze tutti quei compensi necessari allo scopo. Si sa dal

nostro Anichini che " fino al 1595 si portassero ( le suore) a sentir la messa nella Cattedrale ed alcuni anni dopo trovasi ancora che andassero a far le loro devozioni nella chiesa dei Padri di S. Francesco dove parimente si seppellivano"» (A.CAPPELLI '10, 29-30). Verso la fine del XVII secolo fu aggiunto l'ultimo piano ed il loggiato interno (cfr.B.SANTI '95, p.133) e nel 1787 «Dallo spedale nuovo è stato fatto un arco sulla strada ed un andito o sia passare, che va al convento già soppresso delle monache di Grosseto, che era grande, vasto, ben ventilato e arioso ed in buon grado: in questo si collocheranno tutte le abitazioni e quartieri per i serventi e vi si metterà la convalescenza, essendovi molto più luogo del bisogno, senza avervi da murare e per ora vi stanno provvisionalmente i malati fino a che lo spedale nuovo sarà servibile e frattanto lo spedale nuovo avrà 4 buone cisterne di ottima acqua ed il vasto orto che aveano le monache che resterà per uso dello spedale e se ne farà un orto officinale per comodo della spezieria che verrà fatta e stabilita nella soppressa chiesa delle monache che è grande e comoda» (P.L.D’ASBURGO LORENA, Relazioni...1787).
 

L'Arco delle Monache

La scarsità delle rendite non permetteva di mantenere un numero di suore come avrebbesi desiderato, perciò le monache avanzarono domanda alla Comunità per essere soccorse, e questa trovò modo di risolvere il problema economico con l’aiuto dell’Opera della Cattedrale assegnando cento scudi annui a detto monastero e di più con altra deliberazione si stabilì che l’Opera stessa dovesse somministrare altri cinquanta scudi oltre quelli assegnati fino al bisogno. La Santa Sede fino dal 21 luglio 1629 dava facoltà e licenza alle monache di Grosseto di professare i solenni voti religiosi, ma non prima del 1634 potè darsi esecuzione alle disposizioni pontificie, allorquando cioè suor Eusindia Veggiosi nel 14 giugno di quell’anno unica superstite del monastero professò con le nuove disposizioni per prima la regola di S. Chiara alla quale fecero seguito altre volenterose. Con una deliberazione consiliare si erano obbligati tutti i faccendieri a somministrare alle monache per tre anni una determinata elemosina di grano (Memorie H cit. f. 141.) ed il Vescovo di quel tempo, considerata la povertà del monastero ingiungeva che le fanciulle da monacarsi dovessero pagare la retta anticipata di lire 15 il mese sborsandone l’importare in una sola volta e che la dote per le monacande fosse rispetto alle fanciulle grossetane fiorini 300 e di quelle fuori scudi 200 fiorentini di lire sette per scudo oltre le spese occorrenti di corredo ecc. (Fascio cit. A della Curia Vescovile, f. 2-3).
Costituitosi adunque regolarmente il convento di S. Chiara in Grosseto furono dettati i capitoli nel 1635 di cui ci è pervenuta copia nei quali erano stabilite le regole da seguirsi dalle monache nello spirituale e nel temporale. Sebbene il monastero possedesse case e terre fu mai in prosperità e le monache non furono quasi mai numerose. Nel 1637 si ha che il vescovo Turamini visitando il convento vi trovò sei monache velate e tre servigiane, ordinò il prelato in questa circostanza che esse non potessero scendere alle grate nei giorni di festa, la quaresima e l’avvento senza un’urgente necessità da esaminarsi dalla abbadessa o dal vicario generale, e alle disubbidienti impose per la prima volta la pena di un mese di carcere ed ogni altra volta quella dell’arbitrio fino alla scomunica: negli altri tempi poi non potevano parlare se non con quei che avessero avuto la licenza in iscritto. Altri decreti in progresso di tempo venivano emanati dai superiori ecclesiastici circa la disciplina e l’osservanza della regola di clausura (Anichini – St. cit. 197 e segg.). Circa la metà del secolo XVIII le monache essendo giunte al numero di diciotto, cioè dieci velate ed otto converse non bastando loro per vivere le entrate del monastero, fu stabilito, dopo aver ricorso all’autorità pontificia e granducale, di questuare nel tempo delle raccolte e di ammettere in convento fanciulle a pagamento per far loro scuola...A tal uopo soggiunge l’Anichini " Giacchè non prima dell’anno scorso 1750 fu possibile all’abbadessa il persuadere la somma repugnanza delle sue religiose a prevalersi di questo grazioso indulto quantunque astrette dalla mendicità per essersi ritrovate più volte prive del necessario sostentamento del pane e del vino se dalla pietà di qualche benefattore non fossero state generosamente per più giorni sovvenute, risolutissime piuttosto di morire di fame nel chiostro che di vedersi elleno, come dicevano, passeggiare per le strade fuori della clausura professata, finalmente vinta la loro connaturale erubescenza e non senza dirottissimi pianti s’indussero quattro di loro a partire la mattina dell’11 luglio 1750, stile comune, cioè due monache velate e due converse colla scorta di due uomini provetti e morigerati, ed uscendo con singulti la porta del monastero verso le ore 5 della mattina due per due cioè una velata e una servigiana, montate in calesse s’incamminarono una coppia alla volta della " Trappola", l’altra verso Castiglione affine d’intraprendere le gite da farsi secondo l’ordine già stato a ciascuna coppia prescritto...I tanti sforzi della carità cittadina non furono sufficienti a mantenere in vita il vacillante monastero delle clarisse di Grosseto, che poche e miserande lo abbandonarono verso il 1780, giacché nel 1782 epoca della legge leopoldina che sprresse i piccoli monasteri, esso non era più abitato» (A.CAPPELLI '10, pp.29-33 ).
 

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