La viabilità romana nella documentazione medievale
 


Tenuta Regionale dell'Alberese, Palazzo Granducale dell'Alberese. "Pianta dimostrativa della Tenuta dell'Alberese". Giuseppe Baccani, 30 maggio 1805. Particolare. Il territorio della tenuta è attraversato dalla «Strada Aurelia oggi detta del Diavolo», che raggiunge l'Ombrone ove sono le «Vestigie del Ponte Aurelio oggi detto del Diavolo». Per i resti dell'antica via consolare la pianta registra ancora il nome "del diavolo", ovvero uno di quelli che alle strade veniva attribuito nel medioevo, allorché erano riconosciute come romane. In particolare questa via è documentata esser chiamata con ben tre nomi del genere nel breve tratto da Talamone all'Ombrone. Nella descrizione dei beni posseduti dal comune di Siena nel territorio di Talamone ai primi del Quattrocento (Archivio di Stato di Siena. Capitoli 122, cc.3-15), infatti, sono citate numerose volte due silices - ovvero strade lastricate - che percorrono la valle che si estende fra "Talamonaccio" ed il "Collecchio": la «selicie di Virgilio» e la «selicie di Merlino». Si tratta, evidentemente, di tratti dei due tracciati della stessa via consolare, cioè di quello originario e di quello relativo al suo rinnovamento, ed i nomi che ad essi sono attribuiti derivano dal fatto che nel medioevo una via riconosciuta come romana era una via "del mago", ovvero dei tempi di Virgilio, ritenuto tale. Poiché Merlino è mago per antonomasia, ecco che anche il suo nome viene attribuito all'altra «selicie». È evidente come sia facile il passaggio da "via del mago" a "via del diavolo".

«In età tardo antica, come documenta Rutilio Namaziano, la strada (la via Aurelia e la Aemilia Scauri) venne duramente danneggiata dai Goti ed era preferibile trasferirsi da Roma verso il nord via mare». Così lo Schmiedt (G.SCHMIEDT '74, pag.578), e certamente nell'altomedioevo nelle relazioni fra il territorio maremmano e Lucca, necessarie in ragione dei numerosi possessi che in questo deteneva il vescovato lucense, la via maggiormente utilizzata è quella marittima. Nondimeno non è da escludere vi sia anche un collegamento stradale, mentre esiste di certo fra il territorio rosellano e quello chiusino, utilizzato per il trasporto nell'entroterra del sale estratto dal Lago Prile. È ragionevole supporre che il gran numero delle corti maremmane del vescovo lucchese costituisca un sistema, cui è essenziale l'esistenza di una rete viaria, che naturalmente è costituita soprattutto dai resti della viabilità romana, come si evince dalla documentazione. Questa fornisce indizi così circa il tracciato delle grandi vie consolari, come di quello di vie di minore importanza ed addirittura di strade appartenenti ai reticoli creati con l'organizzazione del territorio mediante la centuriazione.
 

Archivio Arcivescovile di Lucca. * L.76. 790 Agosto 7. Una «via publica» è nel territorio del «cahagio subperitulo», che ha nel fiume Bruna il confine con quello di «Gaggioreggi», nella pianura sottostante Montepescali.

 

Nella ricerca di riferimenti attribuibili a viabilità di possibile fondazione romana nella documentazione medievale, ove spesso compaiono toponimi dal significato di «vie lastricate» del tipo strata, silice, selice, è  indispensabile  tener  sempre  conto  di  una  distinzione semantica

costantemente presente in quei documenti con certezza almeno fin  verso la metà del XII secolo, ma assai spesso anche nel secolo XIII. Vale a dire la precisa contrapposizione fra i termini via e strata usati per indicare nel primo caso una semplice via di comunicazione e, nel secondo, la strada selciata antica. Dal Duecento l'uso linguistico del termine strata assume sempre più il significato di «strada maestra», esteso anche ad arterie in precedenza chiamate via. Inoltre, a proposito delle viae pubblicae, la qualifica di pubblica connota ogni tipo di via principale, in relazione con la sua comodità, la sua lunghezza, lasua pavimentazione. Ancora nel 1286 viene chiamata «silicem» la via che viene restaurata dal comune di Pisa nel territorio di Scarlino, ovvero la prosecuzione verso nord della via romana che corre sul tombolo grossetano: «Porfilionis silicem, que est in stagno Portilionis, per homines et communis Scherlini et homines Castilionis Piscarie, circumcirca ipsam silicem de bonis palis longis signari faciemus» (F. BONAINI, Statuti inediti di Pisa. Breve Pisani Communis, Vol. I, Firenze 1854, pag. 487, a. 1286). Il documento è assai interessante, poiché attesta come in effetti il comune di Pisa intervenga su un'antica via, che lo stagnum Portilionis (oggi Padule di Scarlino), col suo dilatarsi, ha sommerso per un tratto, ma che certamente ha continuato ad essere utilizzata a lungo dopo l'epoca romana, forse non solo per brevi collegamenti, ma come vera e propria alternativa alla via Francigena per quello fra Roma ed il nord nel medioevo. Verosimilmente è in relazione a questo che nel 1074 è documentata una «via cavalcaricia» del territorio di Alma, fra Castiglione della Pescaia e Scarlino, ed ancora una chiesa pievana nel 1188, a poca distanza da un'altra, la «Plebem de Rocca in territorio, et planitie de Rocca», ovvero quella esistente nel Pian di Rocca in cui è rimasto a lungo visibile il selciato della via romana. È, infatti, assai stretta la relazione esistente fra le antiche pievi e le vie romane, tanto che le chiese pievane si trovavano in generale sul loro percorso, facendo ritenere agli studiosi che in effetti siano sorte originariamente come centri viari su quelle strade, indipendentemente dal fatto che siano principali o secondarie. Se, dunque, anche alla documentazione relativa alle antiche pievi è da attribuire un valore importante per lo studio della viabilità romana, l'attestazione dell'esistenza, nel 1015, della pieve di S.Maria in Grosseto è tale da costituire dato imprescindibile nella interpretazione della documentazione che si riferisce alla viabilità antica del suo territorio.