Il medioevo
 
La storia di Alberese nel medioevo è strettamente connessa a quella del monastero di S.Benedetto, eretto presso la chiesa di S.Maria su una delle colline dei Monti dell'Uccellina. Ecco, dunque, che il toponimo compare nella documentazione che ci è pervenuta per la prima volta nel 1101, appunto in relazione al monastero. Il territorio alberesano, come quello di Grosseto, sull'altra riva dell'Ombrone, nell'altomedioevo dovrebbe far parte delle proprietà del vescovo di Lucca nel territorio della diocesi di Sovana, in cui sarà addirittura fino al 1975, essendo appunto il fiume il confine storico fra questo vescovato e quello di Roselle. Le vicende dell'occupazione longobarda della Maremma determinano l'appartenenza al vescovo lucchese del territorio a sud dell'Ombrone, fino allo spartiacque col bacino dell'Albegna, e probabilmente questo determina, analogamente a quanto avviene per l'acquisizione della curtis Grossito, che anche nell'area di Alberese vi sia, documentata dal secolo X, un importante possedimento aldobrandesco: la Curte Astiano. Forse è proprio dovuta alla presenza della potente famiglia comitale in questo possedimento che, in una posizione di assoluta importanza state-

gica, sorge il monastero, che costituisce fino al secolo XV il punto di riferimento per tutto il territorio alberesano, cioè fino all'edificazione del castello di Alberese, poi il "Palazzo" che ancora sorge sulla collinetta ai cui piedi è l'odierno centro abitato.


«Alla fine del Duecento e agli inizi del secolo successivo i monasteri benedettini attraversarono un periodo di grave crisi e furono in gran parte abbandonati dai monaci; probabilmente San Benedetto dell'Alberese subì questa sorte alla fine del XIII secolo. Il papato, nel tentativo di mantenere sotto controllo le grandi ricchezze accumulate, sottopose le abbazie ad altri ordini religiosi o ricorse all'istituzione della Commenda...La commenda alberesana, certamente già attiva nei primi anni del XIV secolo, con commendatario, nominato da papa Bonifacio VIII (1294-1303), il cardinale Teodorico fu successivamente affidata (1307 ca.) ai Cavalieri Gerosolimitani (Ospitalieri) del priorato pisano, sotto la protezione del comune di Grosseto. Instauratasi a Grosseto la signoria degli Abbati (1312-1336), anche l'Alberese fu sottoposta al loro dominio per circa 15 anni. Nel 1336, ripreso possesso del monastero, l' Ospitaliere fra' Giovanni da Riparia, losottomise "in perpetuum" a Siena, permettendo a chiunque il libero transito sul territorio alberesano e promettendo di non vendere, permutare, donare, affittare o dare in enfiteusi perpetua il monastero e il fortilizio di

Alberese ad alcuno. Di contro Siena consentiva al commendatario di affittare i pascoli e di svolgere quelle attività che davano reddito e prometteva interventi armati "tutte le volte che convenisse e fosse opportuno" a protezione del monastero a proprie spese. Non sembra che la difesa promessa da Siena risultasse efficace: pochi anni dopo (1344), infatti, la Repubblica dovette ancora intervenire per liberare l'Alberese "da coloro che occupavano e tenevano sottomesso il monastero contro la volontà del priore e dell'Ordine gerosolimitano". Il legame tra l'abbazia e Siena divenne più stretto: fu stilato un nuovo patto di sottomissione, secondo il quale la curia, il distretto e il fortilizio di Alberese entravano a far parte del contado senese, restando, tuttavia, il monastero e suoi possedimenti di proprietà del Priore Gerolosomitano e suoi successori. Siena si impegnava a difendere il monastero e i suoi beni "sicut defendit alias terras comitatus Senarum et alios comitatinos et bona eorum". A prova della sottomissione alla Repubblica, ogni anno alla festa di Santa Maria d'Agosto tre massari di Alberese dovevano portare un cero, "cere folliatum", del peso di dieci libbre ed uno di tre nella chiesa maggiore della città di Siena e tutto intorno alle mura del monastero doveva essere dipinta l'arme senese e sul fortilizio issata la "banderiam seu fìamulam communis Senarum extensam et in pattilo ventillantem". Il priore, inoltre, si obbligava a vendere al comune di Siena, al prezzo di sedici denari a staio, a misura e tara consuete, tutto il sale "et salectam", prodotti nelle saline alberesane, toltane la quantità che il Governo di Siena reputava sufficiente per le esigenze degli abitanti del luogo. A garanzia dei patti sottoscritti due castellani, nominati dal governo dei Nove, dovevano risiedere nella badia a spese del priore. Nel 1355 l'abate Giovanni di Matteo si schierò al fianco dei grossetani che per l'ennesima volta tentarono inutilmente di conquistare con le armi l'indipendenza da Siena. Anche se scarsi, i documenti trecenteschi che ci sono pervenuti permettono di individuare, almeno in parte, quali fossero le fonti di reddito della commenda. Certamente, oltre le donazioni, l'affitto dei pascoli e la vendita del sale prodotto nelle saline dovevano costituire le voci più importanti delle entrate. Tuttavia, parte del territorio alberesano era certamente riservato alla coltivazione del frumento e di essenze vegetali utilizzate in tintoria. Scarsissime le informazioni riguardanti lo sfruttamento dei boschi. Recentemente sono stati individuati in tombolo due forni ad alto fuoco (forni fusori), il cui funzionamento richiedeva grande quantità di legna. Nei primi giorni del 1348 marinai di navi provenienti dalla colonia genovese di Gaffa nella penisola di Crimea, dove, oramai da tempo, era in atto un'epidemia di peste nera, sbarcarono nel porto di Pisa, portandosi dietro la malattia. In pochi mesi la pestilenza si diffuse in tutta la Toscana: nel maggio aggredì Siena e il suo contado...La carestia susseguente determinò un ulteriore calo demografico, per cui nel 1370 il Consiglio della Campana dichiarava che la Maremma risultava oltremodo spopolata...Pochi anni dopo (1376 - 1377), sfruttando la difficoltà di Siena a controllare adeguatamente la Maremma per scarsità di uomini, il precettore gerosolimitano dell'Alberese si ribellò alla Repubblica con l'aiuto di Pisa, resistendo, sembra, ad un primo attacco sferrato dal Capitano di Maremma Niccolo di Chino di Marcovaldo da Montalto e soccombendo l'anno successivo soltanto per il tradimento di sei fanti. Per impedire ulteriori ribellioni, alcuni componenti del Consiglio delle Riformagioni di Siena proposero di abbattere le mura del fortilizio; dopo discussione, tuttavia, prevalse l'idea di mantenere sotto custodia della repubblica l'Alberese, a spese della commenda. Nel 1377, con il consenso di papa Gregorio XI (1370 - 1378), fra Giacomo cittadino senese, non appartenente all'ordine dei cavalieri gerosolimitani chiese ed ottenne dal Consiglio Generale della Campana di poter custodire a sue spese l'Alberese. Tre anni dopo il nuovo papa Urbano VI (1378-1389) ordinò alla Repubblica che il fortilizio venisse restituito ai Cavalieri di San Giovanni. Ma oramai la Commenda alberesana attraversava una grave crisi, dovuta, soprattutto, al calo demografico che raggiunse il suo apice nei primi decenni del XV secolo...Alberese fu una delle località messe a contado e classificato come comunello di II classe,'" con tassa ordinaria di 17 lire, 15 soldi e 6 denari,scarsamente popolato, quindi, e in crisi economica, tanto che pochi anni dopo (1450 circa) risultava abbandonato. Il 9 gennaio 1459 Pio II affidò la commenda di Alberese, aggregata a quella di San Pancrazio al Fango, a messere Francese Piccolomini. Quando Beuccio Capacci prese possesso della commenda di Alberese (1473 circa) le cose sembrarono cambiare notevolmente in meglio: non solo venne costruita la nuova sede della prioria (il palazzo nuovo "forte di sito" e in grado di difendersi dagli assalti dei turchi e dei banditi), ma soprattutto vi fu una ripresa nelle attività agricole, che portò Beuccio ad avere "tanto grano che quando si perdesse guai a noi"» ( M.INNOCENTI '98, pp.30-33 ).